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  • Immagine del redattoreAldostefano Marino

David Golder, Irène Némirovsky

Aggiornamento: 22 dic 2021

Correva l’anno 1929 quando sulla scrivania del prestigioso editore francese, Bernard Grasset, arrivò un manoscritto anonimo che si intitolava David Golder. Grasset proprio non aveva idea che dietro quel lavoro potesse nascondersi una donna, perché era convinto si trattasse di un autore maschile.

Per tale ragione, Grasset decise di affidare la ricerca ai giornali, affinché l’autore potesse farsi vivo. Tuttavia, l’autrice che rivendicò l’opera era Irène Némirovsky, una giovane donna russa dell’alta borghesia, rifugiatasi in Francia dopo la rivoluzione bolscevica. Ciò che sorprese l’editore fu proprio che a scrivere una storia sì tanto cruda e brillante, potesse essere una donna.

Tanto l’editore era sorpreso che la interrogò a lungo per comprendere se facesse da prestanome a qualche altro romanziere; ma appena l’opera uscì, il successo ne fu presto decretato unanime.


Insieme alla sua opera, immediatamente divenne celebre anche il nome di Irène Némirovsky.


Scrittori, autori e critici convennero che l’opera dell’autrice fosse qualcosa di mai visto prima. E la scoperta al grande pubblico di questo nuovo talento, mise d’accordo anche personaggi di estrazioni sociali totalmente divergenti tra loro. Ma sempre, ciò che più stupiva chiunque la leggesse, era che «David Golder porta la firma di una donna, si deve quindi riconoscere che è scritto da una donna».


Il passato travagliato dell’autrice forse non sarà noto a molti ma, dimenticate per molto tempo, tutte le opere di Némirovsky ripresero a circolare solo nell’ultimo scorcio del secolo scorso. Di sicuro, il tentativo di far luce su un’autrice ingiustamente scomparsa va ricondotto alla scoperta del suo romanzo più celebre: Suite francese. Un romanzo che per molti anni è stato custodito dalle figlie di Nemirovsky, le uniche della famiglia che riuscirono a mettersi in salvo dalla strage nazista.


David Golder è un’opera diversa dalle altre, prima di tutto perché il protagonista è un uomo.


David Golder è un ricco banchiere ebreo – proprio come il padre di Irène. Da ventisei anni egli è in società con Simon Marcus, insieme hanno fondato una ditta che conta quattro sedi tra Londra, Berlino, Parigi e New York. Tuttavia, il suo socio Marcus è colpevole di aver fatto un investimento sbagliato e di aver buttato l’azienda sotto una cattiva luce. Ha provato persino a imbrogliare l’astuto e temutissimo banchiere, ma è Golder che lo smaschera e lo butta fuori dall’azienda.


Golder è un uomo ricco e senza scrupoli: un personaggio che per tutta la vita non si è curato di nient’altro che della propria azienda. È come se egli, per oltre ventisei anni non abbia fatto altro che ricoprire un ruolo confezionatosi addosso: quello di capo, marito e padre, che non ha tempo da dedicare a nessuno che non ha a che fare con i suoi affari.


Il denaro, ancor prima di Golder, è il protagonista della novella. È ciò che tutto muove, e verso cui ogni pensiero tende.


Di Golder, i soldi sono l’unica cosa che interessa agli altri. Sua moglie non fa altro che domandargliene, per poi spenderli e spanderli in giro per il mondo, alla ricerca di sempre nuovi dispendiosi uzzoli da soddisfare. Sua figlia, viziata e considerata come la bambina più bella e più intelligente del mondo, ha imparato presto dalla madre: anche lei considera il padre solamente come qualcuno pronto a darle i soldi che richiede. E non importa se, di volta in volta, le richieste si fanno sempre più cospicue, e Golder si ritrova sempre a dover cercare nuovi affari e nuove entrate, è come se da qualche parte fosse scritto che nella famiglia Golder le cose possano andare solo in quel modo.


Ma appena qualche pagina dopo l’esordio, Golder ha un terribile attacco di angina pectoris e la sorte rimescola le carte delle loro esistenze.


Esistenze precarie, grette, dedite solamente a soddisfare le proprie necessità, ma che poi, nel momento del bisogno, non esitano a impaurirsi quando il destino le pone davanti al rischio di perdere la loro preziosa fonte di sostentamento. Perché è questo che Golder rappresenta per tutte le persone con cui viene in contatto: nient’altro che una banca.


Al di là dei suoi soldi non c’è alcun affetto, consolazione, ragione che porti le persone che gli stanno attorno a intristirsi per la sua sventura. E a nulla valgono le raccomandazioni del medico di non metterlo al corrente della sua malattia, di lasciare che egli possa riposare e rimettersi in forza. L’unica cosa che muove tutti i personaggi è il denaro e il morboso attaccamento che le persone hanno alle ricchezze.


Perciò David Golder si trasforma presto in un romanzo che tra le righe nasconde una denuncia al mondo ebraico del primo Novecento.


Da poco arrivata in Francia, lontana dalla morale protestante, quella prima Némirovsky venne da molti ritenuta antisemita. Il carattere di Golder, infatti, è fortemente negativo. Egli non persegue valori diversi dai soldi e costantemente è dominato da un’avarizia senza scrupoli. Ma fu proprio la scrittrice a screditare quest’opinione errata che si erano fatti sul proprio conto:

Perché i francesi Israeliti si vogliono riconoscere in David Golder? Olivier Philipponnat, Patrick Lienhardt, La vie d’Irène Némirovsky, Parigi (Grasset Denoël) 2007, p. 189

È vero anche che i Nemirovsky, appena giunti a Parigi, erano felici di considerarsi lontani dagli ebrei tradizionali, poiché volevano a tutti i costi raggiungere l’assimilazione con la cultura del luogo ove si erano stabiliti. Ma mai, l’opera, voleva essere deliberatamente un attacco mirato agli ebrei.


Tanto che nel 1935, proprio Nèmirovsky dichiarò che se al tempo in cui pubblicò David Golder, Hilter fosse stato già al potere, avrebbe addolcito le figure degli ebrei che andava raccontando. Poiché ella non voleva affatto renderli mira diretta delle proprie storie, ma piuttosto sfruttare per i personaggi dei suoi racconti i difetti che rilevava all’interno della comunità; su cui certamente le veniva più facile costruire narrazioni di successo.


Quel tono accusatorio nei confronti degli ebrei, dominati dall’odio e sempre estremizzati, proviene forse, in maniera più immediata, dalla brutta situazione famigliare in cui Némirovsky era costretta.

Sono certo che con questa affermazione non rivelerò nulla di nuovo ai più attenti nemirovskiani: perché è infatti noto a molti che Némirovsky ha sempre provato a riprodurre sulle pagine le proprie sofferenze.

Suo è il padre banchiere sempre intento a occuparsi di affari che realmente fallì nei propri investimenti. Ma suo è anche il tipo ricorrente di madre insopportabile, costantemente alla ricerca di svaghi e amori effimeri, attraverso cui far progredire la propria posizione sociale e la considerazione che il mondo che conta ha di lei. Un tipo che ritorna in David Golder, ma presente in tutti i suoi romanzi: Il vino della solitudine, Il ballo, per raggiungere la più matura delle crudeltà in Jezabel.

E ricorrente, affine a queste madri vanitose e altamente malvagie, è il tema della famiglia, dei bambini lasciati crescere nell’indifferenza – come se la loro importanza durasse il tempo di esser concepiti.


David Golder ci consegna una Nemirovsky della prima ora, all’interno di cui è possibile ritrovare i topoi dell’intera produzione.


Un libro dove è possibile ritrovare alcuni dei problemi che animano anche le famiglie del XXI secolo. Una storia attuale, scritta attraverso una struttura finemente costruita; una narrazione densa di cattiveria, odio, e tristezza, che si frappone tra il genere autobiografico e il romanzo.

Ma al di là di tutto, ciò che resta alla fine di tutti i libri di Némirovsky, è che sono libri preziosi, anche quando non ne si conosce la storia che li ha concepiti.



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