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  • Immagine del redattoreAldostefano Marino

Fratelli e Custodi, John Edgar Wideman

Aggiornamento: 22 dic 2021

Ci sono scrittori che non si conoscono affatto, eppure scrivono da tempo, e raccontano storie incredibili, in modi infallibili. È il caso di John Edgar Wideman, e il suo romanzo Fratelli e Custodi (Minimum fax, 17 euro). Tanti sono i libri pubblicati da Wideman, ma una sola è sempre la storia che racconta: quella della sua famiglia.


Le vite dei famigliari che gravitano attorno allo scrittore sono difficili e spesso prigioni senza via d’uscita. Cominciando con il figlio dello scrittore John Edgar, Jacob, ancora minorenne venne condannato a venticinque anni di carcere per omicidio. Nel 1975, il fratello Robert, il protagonista di Brothers and Keepers, fu condannato all’ergastolo per l’omicidio colposo di Nichola Morena, a causa di un colpo andato male. Lo stesso figlio di Robert, il nipote di John E., venne ucciso nel suo stesso appartamento da un uomo sotto effetto di sostanze stupefacenti.


Nel 1984 vede la pubblicazione Fratelli e Custodi: un romanzo scritto a quattro mani, magistralmente, denso di descrizioni e pochissimi dialoghi, che procede molto lentamente. Mi è difficile considerarlo una lettura leggera, e altrettanto lo sarà spiegare in poche parole le ragioni per cui Fratelli e Custodi ha destato in me alcuni sospetti.


Pittsburgh, Pennsylvania, 1975 Robert Wideman venne condannato all’ergastolo: l’afroamericano che ha sempre voglia di far festa. Dopo tre mesi di latitanza e fuga, Robbie perse la voglia di giocare al gatto e il topo, e coi suoi due complici si presentò a casa del fratello John E. Tutti e tre gli assassini il giorno dopo vennero arrestati e condannati all’ergastolo.


John Edgar racconta la storia del fratello Robbie all’interno del memoir Fratelli e Custodi, che a sua volta gli viene raccontata durante le visite in carcere dallo stesso fratello omicida. Ci troviamo davanti a un narratore sempre interno al racconto. In realtà, la narrazione è affidata non solo alle parole di John, ma anche a quelle di Robert. Spesso è la voce di Robbie a raccontare la vicenda e i soprusi sofferti. Possiamo dire quindi che John Edgar Wideman rappresenta un portavoce del vero narratore della vicenda, tentando nell’impresa di conferire al racconto una possibile parzialità, senza però riuscirci del tutto.

Soprattutto nella terza parte del libro, vengono illustrati anche i metodi di stesura del libro, il lavoro di correzione e di selezione del materiale: una meta-narrazione, dunque, e un lavoro di co-working potrebbe esser definito quello di Wideman.


John Wideman ha raccontato la difficoltà riscontrata nella scrittura del romanzo: a parte il reperimento delle fonti, le letture e gli studi sul carcere, per lui assistere e ascoltare i racconti del fratello è stato un momento molto doloroso. Ma non solo: questa situazione è stata per i fratelli ragione di ritrovo e intimità, come racconta la citazione in copertina:

Era la prima volta nella vita che parlavamo così a lungo. Probabilmente due ore e mezzo in più della più lunga conversazione intima che avessimo mai avuto. E c’erano voluti carcerieri, serrature e sbarre per unirci.


Ma proviamo a osservare più da vicino Robert Wideman...


Robbie è un uomo di colore cresciuto nel quartiere afroamericano di Homewood, a Pittsburgh nello stato della Pennsylvania. Una vita vissuta all’insegna del divertimento, fin da quando è un bambino. È ottimista, intelligente, profondamente orgoglioso ma capace di dare amore.

Robbie cade nel baratro della droga e diventa un eroinomane, perennemente alla ricerca di soldi per comprarsi la droga e poter far sfoggio del potere. Nel profondo vorrebbe diventare una persona speciale. È nel mondo della criminalità che cerca di compiere il colpo perfetto per sfondare, perché il suo grande desiderio è quello di tornare a casa e onorare la madre con costosissimi regali.


Il giovane Robbie ha perso il lavoro, insieme a lui anche un suo amico: non hanno più nulla da perdere. È proprio questa ossessione per i soldi e il successo che porta Robert a rubare un furgone carico di televisori per poi ingannare l’acquirente al quale vuole venderlo. Tutto è progettato all’interno di un piano che ai tre amici sembra perfetto, ma ciò che non viene calcolato è l’omicidio non premeditato con cui si conclude il fatto e che li condurrà alla latitanza per i successivi tre mesi, fino al Western Penitenitiary.


Robert ha avuto due matrimoni, uno mentre era in libertà, l’altro in prigionia con una visitatrice di un suo collega carcerario. Un figlio, che poi verrà ucciso da un tossicodipendente. Un destino faticoso al quale – secondo John Edgar – Robbie non avrebbe potuto sottrarsi manco volendo.


Il memoir racconta la storia circolarmente: si apre con la visita di John Edgar in carcere e si conclude con quella conclusiva tra i due fratelli. L’ultima visita porterà a John molti dubbi: egli si chiederà se eliminata la ragione della sua vicinanza al fratello, ovvero la scrittura del romanzo, John sarà ancora dalla sua parte e se, riuscirà nuovamente a sentirsi così vicino a lui. Durante tutto il romanzo, infatti, la posizione assunta dallo scrittore nei confronti del fratello è di difesa.

Se Robby ha fallito perché l’unica celebrità che poteva ragionevolmente rincorrere era quelle nel mondo del crimine, allora questo è sbagliato. Ed è sbagliato non perché Robby non voleva di più, ma perché la società gli ha precluso ogni possibilità di ottenere di più, se non attraverso il crimine.

John Edgar ci prova: fa apparire il fratello come una vittima. Un afroamericano che non avrebbe avuto la possibilità di raggiungere la vetta se non all’interno di un mondo criminale. Identifica i neri d’America come persone esiliate, emarginate e maltrattate ai lati della società, in città incomunicanti con quelle dei bianchi.

Un resoconto reale, certamente, ma non l’alibi di un omicidio. Precisando ciò, non intendo negare che la storia che Wideman narra è quella di un individuo vittima di soprusi, discrimino e denigrazione. Ma nego che questa rappresenta per lui una valida ragione per uccidere.


Fratelli e Custodi non è solo la storia di un afroamericano omicida e il tentativo di individuare le ragioni delle sue azioni. È la storia degli afroamericani nati e cresciuti in America, spesso allontanati e discriminati. Come quando, nell’aeroporto di Stapleton di Denver i figli dello scrittore vennero

Costretti a togliere le loro nuove pistole da cowboy dal bagaglio a mano per caricarle nella stiva dell’aereo.

mentre un passeggero dietro di loro era riuscito a

Convincere la sicurezza a lasciarlo salire sull’aereo con una .38 nella valigetta. Era un poliziotto fuori servizio, come le guardie di sicurezza che di straforo stavano facendo un secondo lavoro al controllo bagagli. Una conversazione sussurrata, un paio di grasse risate e strizzate d’occhi tra vecchi compagni, una pacca sulla spalla, e questo bianco e la sua pistola erano sull’aereo.

Fratelli e Custodi si spinge oltre: non solo indaga la dura condizione degli afroamericani, le loro ridotte possibilità di crescita e la loro emarginazione; ma esplora anche le vergognose condizioni alla quale i carcerari vengono sottoposti.

Wideman costruisce gran parte del suo romanzo, oltre che attorno alla vita del fratello, su un proprio dubbio:

Vi chiedete mai cosa succede dietro quelle mura? Che tipo di uomini sono rinchiusi lì dentro? Perché loro sono dentro e voi siete fuori? Riuscite a immaginare cosa succede quando si spengono le luci la sera? Cosa pensano i prigionieri?

Prigioni private di ogni abbellimento estetico, lasciate a marcire, fredde, luoghi relegati in cui i condannati entrano più per essere puniti che per cambiare vita. Luoghi controllati da guardie autorizzate a comportarsi come vogliono, che si servono di una legislazione a parte e il cui interesse della società è ridotto a zero. Luoghi che dovrebbero insegnare che nessuno può esercitare la propria forza su nessun altro, ma dove il detenuto più duro ha la meglio sul più debole.


John Edgar racconta le attività ricreative che non si svolgono in carcere ma che potrebbero essere d’aiuto attraverso il racconto del diploma del fratello. Identifica la solitudine come la peggior cosa che la prigione genera e trova nel momento delle visite una paradossale sofferenza per il prigioniero e per il visitatore. Esplora le carceri come luogo di non ritorno, dove chi entra ne esce significativamente peggiore. Luoghi dove «I prigionieri non hanno diritto che i carcerieri siano tenuti a rispettare».


John Edgar Wideman ha scritto un romanzo sensazionale, durissimo ed estremamente lento. Lo ha scritto come se fosse una conversazione tra due fratelli, intervallato da lettere e biglietti. Un romanzo perfetto sotto ogni punto di vista: che informa, amplia le nostre conoscenze e prova ad allargare i nostri orizzonti… e alla fine che importa che la storia raccontata è quella di un omicida, se questo può portarci a volere che le cose cambino nel mondo?


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