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  • Immagine del redattoreAldostefano Marino

Moglie di Verlaine, Mathilde Mauté

Aggiornamento: 22 dic 2021

Il 23 giugno 1907, dopo ripensamenti, incertezze e perplessità, Mathilde Mauté, l’ormai ex moglie del poeta Paul Verlaine, decise di raccontare ai lettori come andarono veramente le cose tra lei e suo marito. Spesso criticata per i suoi modi autoritari, in seguito alla pubblicazione delle biografie di Verlaine, Mathilde Mauté decise di far chiarezza sulle questioni oltremodo dibattute.

Mi si dipinge come una ragazzetta (quasi una bambina) viziata dai genitori e diventata per il povero poeta crudele e senza pietà. Insomma, lui era la vittima, e io, il boia. Moglie di Verlaine, M. Mauté, Sellerio editore, Palermo 1998

In particolare, Mathilde Mauté intendeva denunciare il fatto che Edmond Lepellettier, primo autorevole biografo di Verlaine (Paul Verlaine, sa vie, son oeuvre) si fosse accanito ingiustamente nei confronti della sua famiglia. Ma d’ingiusto, stando almeno alla versione raccontata da Mauté, c’è stato solo il trattamento ricevuto dalla fedele moglie dal proprio marito.


Il racconto-testamento di Mauté origina proprio nel 1868, quando Mathilde e Paul si incontrano da Madame de Callias.


Quel primo sfuggevole incontro, passato del tutto inosservato a Verlaine, altro non fu che dettato dalla casualità. Madre e figlia, infatti, si recarono presso Madame de Callias a Parigi poiché invitati dal fratello Charles – che solo di recente aveva fatto la conoscenza di Nina de Callias, e di sua madre, Madame Gaillard. Nelle stanze dei loro cerimoniosi palazzi, l’appena quattordicenne Mathilde si stupiva non poco di potervi accedere; là, queste donne ricevevano artisti, letterati, poeti, e musicisti di talento. Pochissime donne e molti uomini «tutti di spirito, di talento o di genio»; tra cui, al momento di andar via, fece capolino Verlaine.

Nel momento in cui noi si andava via, entrò Verlaine. Sembrò non vedermi; a me sembrò brutto, mal vestito e con l’aria misera. Fu questo la prima impressione che, disgraziatamente, non doveva durare. Moglie di Verlaine, M. Mauté, Sellerio editore, Palermo 1998

La prima impressione non fu certo positiva, dunque; né poté considerarsi tale quella avuta dai genitori di Mathilde, che subito, conosciute le intenzioni della figlia tentarono in un primo momento di farla desistere. Probabilmente, quella stessa bruttezza di Verlaine doveva aver acceso qualcosa nel cuore della minorenne Mauté: probabilmente, primo fra tutti, un senso di pietà.

Ma è al secondo incontro tra i due che scocca l’amore (anche se, persino quella volta Verlaine non sarà conscio di alcun sentimento verso di lei) quando un’opera scritta appositamente da Lepellettier, venne eseguita insieme al poeta Verlaine, per omaggiare la padrona di casa. Verlaine è figlio di un comandante militare, e di una madre sempre intenta a servirlo per primo e assecondare ogni suo capriccio. Un ragazzo dall’aspetto poco gradevole, calvizie precoci e dieci anni in più di Mathilde.


La destinataria della pièce era la scultrice Madame Léon Bertaux, proprietaria di uno studiato a Montmartre, dove spesso invitava illustri personaggi per ammirare le proprie opere.

Un giorno che Charles aveva passato la notte da Madame de Callias, non avendolo visto a colazione, salii da lui e mi trovai faccia a faccia con Verlaine. È certo che lui mi vedeva per la prima volta, io invece avevo avuto da Madame Bertaux tutto il tempo di esaminarlo accuratamente e quindi ero già abituata al suo viso e, diciamolo pure, alla sua bruttezza. Fu dunque sorridendo che gli augurai gentilmente buongiorno, e con estrema naturalezza, iniziai a conversare con lui, non pensando che ad accoglierlo amabilmente come facevo con tutti gli amici di Charles. Moglie di Verlaine, M. Mauté, Sellerio editore, Palermo 1998

Quel primo incontro tra Mathilde e Paul è narrato anche nelle Confessioni di Verlaine, pubblicate sul calare della vecchiaia.

– Oh, mi piacciono molto i poeti, signore -. Queste furono le prime parole di quella bocca da cui avrei dovuto sentire tanti sì, poi tanti no, senza pregiudizio di tante altre buone cose ancora, e poi cattive. Confessioni, P. Verlaine, Adelphi, Milano 1977

Dall’estratto che ho riportato poco sopra, viene facile dedurre le ragioni per cui Mathilde sarà dipinta arida e priva di gentilezza da tutti i biografi di Verlaine – anche loro saranno rimasti sedotti dal fascino del poeta maledetto. Ma se è vero che Verlaine ricorresse a frequenti escamotage letterari che contribuivano a tracciare di sé il ritratto di un ribelle, è vero anche che la giovanissima Mathilde Mauté soffrì molto per l’estro e l’ingestibilità di Verlaine. Totalmente sedotta e sottomessa alla figura di Verlaine, Mathilde non sarà mai abbastanza forte da negare il ritorno al marito.


Verlaine è stato un personaggio enigmatico, e la sua fama certo proviene in gran parte dall’incontro di un altro personaggio enigmatico, un giovinetto accolto dalla bohémien parigina come l’enfant prodige: Arthur Rimbaud.

Ma per riallacciarci alla narrazione –chiariti alcuni passaggi fondamentali per la comprensione di Mauté – pochi giorni dopo quell’incontro, Verlaine spedì una lettera a Mathilde Mauté. In quelle righe, Verlaine chiedeva a Charles di avanzare a sua sorella una proposta di matrimonio. Charles ne fu sorpreso, ma in fondo felice: voleva bene al suo amico e aveva grande fiducia nelle sue capacità letterarie.


Fu proprio quello il momento in cui Verlaine cominciò a scrivere La Bonne Chanson.


Ispirato da un sentimento inedito, Verlaine si mise in attesa della sua novizia. Monsieur Mauté, infatti, un arricchito della società parigina, rifiutò la proposta avventata. Egli era giustamente convinto che fosse prematuro parlare di un impegno del genere, e che il poeta avrebbe dovuto attendere almeno due anni prima che gli venisse concessa la mano di Mathilde.


La volontà di Mauté padre fu dunque rispettata, e il matrimonio non avvenne prima di quattordici mesi di fidanzamento. Durante quei mesi, «Verlaine fu dolce, tenero, affettuoso e gaio». Di facile inclinazione all’alcol, tutti coloro che conoscevano Verlaine avrebbero potuto dimostrare che fosse cambiato. Forse il desiderio di soddisfare le proprie intenzioni, e una certa qual dose di perseveranza, lo condussero in sposa a Mathilde qualche mese prima del previsto.


Fu allora che Verlaine si trasformò da buono in «essere cattivo, odioso, brutale, sempre ubriaco, bugiardo, fiacco, ipocrita». Ma che cosa, in fondo, lo tramutò nella parte peggiore di sé, se non quell’incontro con Rimbaud?


Quell’infante indiavolato, quel bambino prodigo che gli aveva mandato via posta i primi versi, Rimbaud, fu forse la causa maggiore del secondo Verlaine.


Ho avuto cura di raccontare i rapporti intercorsi tra i due maggiori poeti maledetti, Verlaine e Rimbaud, in un articolo precedente (a proposito dell’affaire Bruxelles, indagato magistralmente da Marcenaro). È una storia d’amore o odio, ma di qualsiasi sentimento prevalga non ne potrà mai essere negata l’intensità. Un amore narrato da molti, stravolto dai più; modificato sotto le penne di biografi fantasiosi, a partire da quella di Lepellettier – di cui non va dimenticato fosse il figlio di un’amica della suocera di Mauté.


Una storia d’amore parallela a quella relazione che Mauté si impegnava a tenere in piedi, praticamente con le sole proprie forze. Poiché il legame matrimoniale, appena due mesi dopo l’unione, vede venir meno diversi obblighi da parte di Verlaine. In particolare, quando la coppia sarà raggiunta da Rimbaud nella capitale, per Mathilde comincerà una estenuante lotta impossibile.


Da Roche, Rimbaud, giunse a Montmartre senza un soldo, e fin da subito portò scompiglio nella vita borghese del poeta. Se si esclude quella prima cena dove Arthur apparse ai presenti taciturno e timido, chiunque lo abbia incontrato lo ricorderà come un giovane indemoniato. Un bambino prodigio, sì, specialmente per l’intensità e la robustezza dei suoi versi; ma indemoniato, poiché aggressivo, spesso irascibile, dedito all’assenzio e ai liquori. Ovunque andasse portava prima stupore e infine scompiglio; coi suoi lunghi capelli scompigliati, dimora di pidocchi che si divertiva a far «saltare addosso ai preti», la devozione di Verlaine nei suoi confronti divenne totale.


Verlaine, dunque, abbandonato il lavoro al Municipio, si diede a un lungo peregrinare per il mondo con il giovane amico.


Più e più volte Verlaine abbandonò la moglie senza nemmeno darle il preavviso di una presunta partenza; celebre fu quella in cui, dopo aver supplicato la moglie di raccoglierlo a casa, uscì per comprare delle medicine per Mathilde e non fece ritorno. Tuttavia, per tutto il corso della relazione con Rimbaud, Verlaine non negherà mai di amarla ancora. Ma assurdo fu anche l’episodio in cui, ricattata Mauté di togliersi la vita se non fosse stato raggiunto in tre giorni a Bruxelles, V. abbandonò la moglie e la madre sul treno e scappò a Londra con Rimbaud.


In tutti i profili che vengono tracciati su Verlaine, neanche in uno presenzia l’assenza di una scontrosità smisurata, tesa sempre all’aggressività. In preda ai propri fantasmi, sempre intento a sperimentare quanto più la vita potesse offrirgli, Verlaine fu facilmente condannato a due anni di carcere all’epilogo di questa storia. La violenza era parte di lui, un sentimento in grado di risvegliare qualcosa dentro di sé: poiché tanta era quella adoperata anche nei colloqui, e nei giochi coi coltelli svolti con Rimbaud.


Moglie di Verlaine, si prostra molto oltre l’essere semplicemente il tentativo di una moglie di aver vendetta.


Dietro questo libello appena oltre le cento pagine, Mauté ci consegna una testimonianza fondamentale per la lettura del personaggio di Paul Verlaine. È una Mauté narratrice, che non può dirsi imparziale fino in fondo. Che l’intento fosse quello di riscattarsi, di raccontare la sua versione, è chiaro sin dall’introduzione del libro; ma risulta fondamentale che alla fine, Moglie di Verlaine costituisce la realizzazione di un elogio e al contempo una testimonianza diretta di quegli incontri e litigi; di quelle lotte e atroci sofferenze che Mathilde Mauté patì.


Ella, infatti, non fu niente di più né di meno che una moglie devota di fine Ottocento: una minorenne che non conosce niente della vita. Nel frattempo, un’amante, che davanti alla porta di casa fu sempre disposta a perdonare al marito l’ennesimo errore. Forse come prova del suo cieco amore, anni dopo la scomparsa di Verlaine, Mathilde Mauté non ebbe il timore di tornare sui propri drammi. Una donna che ha il coraggio di far luce sulla vita di un poeta – e sul proprio sofferto amore; che per la prima volta riuscì a chiarire molti dei tanti dubbi che tutt’oggi alimentano e offuscano la figura di Rimbaud.



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