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Immagine del redattoreAldostefano Marino

Diario 1938, Elsa Morante

Aggiornamento: 13 mar 2023

Redatto tra il 19 gennaio e il 30 luglio 1938, il Diario di Elsa Morante è la cosa più personale che l’autrice abbia fornito di sé durante la sua lunga carriera. Se Morante sempre preferì che della propria vita si sapesse meno di quanto narrasse, quest’esemplare è la prova più autentica che abbiamo del carattere di Elsa Morante, delle sue relazioni, delle sue paure, e di quegli anni particolari.


Diario 1938 fu pubblicato precedentemente con il titolo Lettera a Antonio. Antonio, infatti, è il nome fittizio a cui Morante si rivolge nella prima sessione con il suo diario.


In queste pagine, la materia autobiografica invero non si presenta sotto forma di lettere non spedite. Il vero interlocutore del Diario non è tanto Antonio – personaggio a cui si rivolge più come se egli incarnasse il suo alter ego – ma piuttosto la pagina bianca, che diventa per l’ennesima volta, un luogo in cui l’autrice può dar sfogo ai propri drammi, e allo stesso tempo, attraverso cui analizzarli, sviscerarli fino a comprendere se stessa.


Il Diario che Morante tenne nella prima metà del 1938 altro non fu che un modo che l’autrice aveva a disposizione per leggersi dentro.

Quelli, infatti, sono anni difficili per lei: la scrittrice romana, nata da madre ebrea, non ha ancora raggiunto il successo. Ha già incontrato Giacomo De Benedetti, e frequenta casa sua e della moglie Renata come una presenza abituale; ed è proprio lui a spingerla verso una maggiore coscienza di sé.

Il 1938 è un anno fondamentale per Elsa Morante: la sua relazione con Alberto Moravia è da poco cominciata, e il suo successo infinito contribuisce ad accrescere quel senso di insicurezza che Morante prova. È una donna sicura delle proprie capacità, dei suoi pensieri, eppure la relazione con Moravia la tormenta.


Da Morante, Moravia vorrebbe un figlio, che l’autrice non riesce a dargli.


Probabilmente, questa sua incapacità dovrebbe essere ricollegata al rapporto ambivalente che per tutta la vita Morante ha avuto con sua madre, Irma Poggibonsi.


Irma seppe riconoscere il talento letterario della figlia fin dalla sua tenera età. A sua madre, l’autrice avrebbe dovuto rendere merito di esser stata in grado di valorizzare il suo talento e di accrescerlo il più possibile. Basti pensare, che solo a Elsa, appena seienne, venne permesso di allontanarsi da casa per qualche anno, affinché potesse ricevere l’educazione privilegiata di sua madrina, Maria Guerrieri Gonzaga Maraini.

Si trattava di garantire alla figlia di esser ben curata e recuperare in salute; il che sarebbe stato più difficile in un ambiente modesto come quello familiare […]. Si era dunque alla fine della Prima guerra mondiale: un momento, per la gran parte della popolazione italiana, di crisi e miseria. La famiglia Morante non doveva certo vivere nell’agiatezza, nonostante Augusto e Irma lavorassero entrambi e quest’ultima abbinasse al proprio lavoro anche molte ripetizioni private, che però erano solitamente gratuite […] Graziella Bernabò, La fiaba estrema, Carocci, Roma 2012

Tuttavia, è proprio dietro l’ambivalenza del rapporto con la madre, che si può rintracciare dentro Morante un conflitto, una lotta tra due poli opposti.


Da una parte, Elsa Morante possedeva una matura consapevolezza delle proprie capacità di scrittura e al contempo del proprio aspetto giovane e seducente; dall’altra, invece, ella era abitata da un forte senso di solitudine, per la convinzione di non essere in grado di farsi ammirare e apprezzare dal resto del mondo. Questa conflittualità si può facilmente ricondurre alla situazione dei suoi genitori, e in particolare della propria madre.


Irma Poggibonsi e Augusto Morante vivevano insieme, ma di fatto era come se fossero separati. Fin dall’inizio della loro unione, essi avevano scoperto che Augusto non potesse avere figli, tanto che egli, per evitare l’annullamento delle nozze, concesse a Irma di avere un figlio con Francesco Lo Monaco. Una scelta destinata ad avere conseguenze disastrose sul rapporto tra i due, ma che tuttavia si spiega facilmente se si analizza la loro situazione nello specifico.


Augusto Morante, infatti, era siciliano, di nascita e per vocazione, e l’annullamento del matrimonio per impotenza sarebbe stato un vero disonore; Irma, invece, pur avendo una propria indipendenza economica, si sentiva insicura per il suo essere ebrea e non se l’era sentita di perdere la sua protezione.


Nel 1930, all’età di diciott’anni, Elsa Morante abbandona gli studi in Lettere – che a dire il vero neanche fa in tempo a cominciare – e va a vivere per conto proprio.


Che Morante abbia sentito il bisogno di allontanarsi dalla propria disastrosa situazione famigliare è comprensibile; così anche come il fatto che quel distacco provvisorio abbia finito per assumere connotazioni definitive in tempi assai rapidi. Ma se tutto questo costò molto a Irma Poggibonsi, non si può dire che procurò meno sofferenza a sua figlia, costretta «nel rifiuto del materno, a mortificare anche il complessivo senso di sé come donna».


Nella sua nuova vita, come dichiarò a un’intervista rilasciata a Jean-Noel Schifano, Elsa incontrò numerosi ostacoli. A partire dalla propria svantaggiosa situazione economica, la scelta letteraria e artistica di Morante fu una scelta volontaria, pur conoscendo che i suoi obiettivi sarebbero stati raggiungibili solo a caro prezzo.


Fino al 1937, Morante non aveva pubblicato altro che brevi racconti, situazione che in qualche modo all’autrice dispiaceva. Grazie a De Benedetti approdò come articolista sul Meridiano di Roma: storie in cui sono molto presenti le figure materne, mentre i padri sono totalmente assenti, se non in qualche rara eccezione. Ha in mente di scrivere una grande opera, ma è continuamente divisa da quel rapporto con se stessa che non riesce a farla procedere.


Proprio a quel periodo risalgono infatti i primi tempi della relazione MoranteMoravia.


Alberto Moravia ed Elsa Morante si incontrano nel 1936, grazie al pittore Giuseppe Capogrossi. Moravia era già celebre per il successo degli Indifferenti, e di ritorno dal suo primo viaggio in Cina, nel ’36, comincia la relazione con Morante.

Il loro fu un amore tormentato, fatto soprattutto di bassi e rarissimi momenti di benestare.

Moravia, più di lei, fu incline al tradimento, e come rivelò ad Alain Elkann, non si riteneva veramente innamorato di Morante, quanto dopo sarebbe avvenuto con Carmen Llera e Dacia Maraini. Tuttavia, Elsa, soprattutto in quelle prime pagine di Diario 1938, non fa altro che implorare le sue attenzioni: vorrebbe che suo marito l’amasse, che la desiderasse…


Ma è in quelle stesse pagine che Elsa Morante capisce che in quel modo non può continuare. Così, comincerà a cercare altrove ciò che Moravia non poteva offrirle: nell’illustre regista omosessuale Luchino Visconti, e poi nel pittore newyorkese, lo stravagante e sfrontato Bill Morrow.


Tra il 19 gennaio e il 30 luglio 1938, Morante trascrive e commenta non soltanto i fatti che incorrono tra i due coniugi. Diario 1938 diventa uno spazio bianco in cui tener traccia persino dei propri sogni, laddove la realtà si manifesta con più intensità che nel quotidiano.

Semplici annotazioni quotidiane diventano per lei un’avventura dello spirito, che unisce, con grande capacità di suggestione, la realtà al sogno, la cupezza alla speranza, il desiderio carnale alla delicatezza dell’amore spirituale, lasciando trapelare una frequente oscillazione tra aggressività e tenerezza, chiusura e generosità. Graziella Bernabò, La fiaba estrema, Carocci, Roma 2012

È evidente, già in quel periodo, che Elsa Morante conoscesse Freud – fatto testimoniato anche da Moravia che cominciò a leggerlo proprio nell’anno in cui si incontrarono. Attraverso i sogni che racconta, Elsa Morante cerca di comprendere le proprie emozioni e di leggere attraverso i propri sogni ciò che da sé non riesce a comprendere.


D’altro canto, la presenza di Alberto Moravia nei suoi sogni è spesso ricorrente, sebbene le generi un’acuta malinconia. Morante appare di lui innamorata, spontanea, nonostante sia con lei sgradevole di frequente. Ma c’è da dire che era forse quel distacco, quel suo essere sgradevole a renderlo agli occhi di Morante l’Alberto di cui si era innamorato. Non andarono forse in modo molto similare anche le relazioni con Morrow e Visconti?


Tutti gli uomini di cui Elsa si innamorò furono sfuggevoli, appassionati d’altro, che alla fine presero le distanze. Ma era forse proprio questa loro illeggibilità a renderli indispensabili nell’esistenza dell’autrice.


Il Diario 1938 divenne per Elsa Morante uno strumento di cui si servì per trovare una propria consistenza nel mondo.


Percorrendo la propria personale strada improntata sulla libertà poetica e morale, Elsa Morante trasforma questo brevissimo Diario frammentato in una concreta testimonianza della sua vita. Sempre attenta che nessuno scoprisse di lei mai abbastanza, l'autrice amava che fossero i suoi libri a raccontar qualcosa di sé, piuttosto che i giornalisti.


I sogni; la visione delle cattedrali (che per molti studiosi rappresentano la grandezza delle sue opere); le passioni; i dolori... non sono che la cornice di un nucleo intimo e privatissimo. Un nucleo fatto di desolazione, di incomprensibilità verso se stessa, di non accettazione, di rapporti inspiegabili e che racchiude i temi che poi attraverseranno tutta l'opera morantiana.



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