Le copertine Einaudi hanno il grande potere di attirare anche l’occhio meno interessato. Poniamo quindi un fondo bianco, la foto in bianco e nero di una donna molto bella, dai tratti nordici, le lentiggini, una fascetta gialla che abbraccia il libro: Vincitore del premio Campiello 2017. Colori che rendono, immagini d’impatto, titoli che suonano molto bene, esce fuori L’Arminuta, di Donatella di Pietrantonio.
Dopo questa premessa, inutile dire che il romanzo mi ha intrappolato prima che lo aprissi.
La bella e triste storia dell’Arminuta è raccontata da una bambina che cambia città, che cresce, e mentre cresce racconta. Grande capacità di Donatella di Pietrantonio, quella di sapersi destreggiare tra le mille io dello stesso personaggio, in fasi di vita differenti.
La storia è avvincente, mi tiene incollato: l’io narrante, l’Arminuta, la Ritornata, viene abbandonata da suo padre – che in realtà è suo zio – sulla porta di casa dei suoi zii – che in realtà sono i veri genitori e i suoi veri fratelli -. Le ragioni non le conosce nessuno. Ci troviamo in Abruzzo, dalla città – che viene sempre e solo chiamata città – l’Arminuta va a vivere in campagna. I tempi son difficili, soprattutto per la sua nuova famiglia: il tavolo sempre vuoto di cibo, una brandina singola da dividere in due e la doccia solo il sabato. L’Arminuta va a scuola e si distingue dagli altri, e questo quasi spaventa la sua famiglia, che non amano la cultura, anzi la disprezzano. Ad esser fiera di lei solo Adriana, la sorella con cui divide il letto e che stravede per lei. Una famiglia evidentemente disagiata, sotto tutti i punti di vista, con un modo di dare amore spesso fraintendibile. Ma che cosa è successo ai genitori dell’Arminuta? Questa è la domanda che ci portiamo appresso dalla prima pagina del libro. Perché l’hanno abbandonata? L’Arminuta non lo sa, e si tappa le orecchie, quando qualcuno parla male dei suoi genitori, che lei è sicura un giorno torneranno a prenderla.
L’Arminuta è la storia grandiosa contenuta all’interno di un romanzo che non è scritto come dovrebbe. Non si riesce mai ad empatizzare totalmente coi personaggi: restiamo sempre ad un passo da loro, senza poterci mai immedesimare completamente.
Le descrizioni dei personaggi non sono incisive, non rimangono nel cuore. Tra i fratelli di «essa» non se ne ricorda uno, sembrano macchioline, messe là per contorno, per sbaglio. Tuttavia, anche se la storia sarebbe potuta essere trattata meglio, meno di fretta, i dialoghi sono impregnati di ritmo e il racconto scorre via veloce. La trama stessa del libro ti tiene incollato dall’inizio alla fine. La scrittura è asciutta, pungente ma delicata, come se la storia fosse raccontata da una bambina che cresce. La pecca è stata avere aggiunto troppo, rispetto a ciò che era necessario sapere di questa storia. La copertina è ben scelta, tanto bene che durante la lettura del libro, ho associato il volto in bianco e nero a quello dell’Arminiuta.
È una storia tragica e profonda, intrisa di passione e di segreti. Insegna una cosa, un po’ amara, ma reale: adattarsi a tutto, trovare il bene in ogni cosa.